Non esiste una ricetta unica e valida per la pratica dell’Hatha Yoga. In quanto disciplina della ricerca interiore, non può esistere un’oggettività della pratica e una ricetta corretta. L’Hatha Yoga è profondamente personale.
Mi piace affermare, durante i miei corsi, che
l’unica oggettività riguarda la pratica, l’unica cosa oggettivamente e universalmente valida è praticare.
Da questa unica fonte si dipanano i sentieri delle migliaia di Hatha Yoga esistenti, corrispondenti ognuno allo yogin che lo mette in pratica.
La grandezza del Guru sta nell’essere presente in atteggiamento amorevole accanto al suo discepolo e saperne assecondar i movimenti di ricerca.
I 2 punti di appoggio del guru sono l’Atman che incontra dentro di sé ogni volta che pratica e il saper illuminare la strada al discepolo.
Molti stili di insegnamento dell’Hatha Yoga si appellano alla perfezione dell’Âsana, vanno alla ricerca del perfetto allineamento dei distretti corporei e alla riproduzione di un’Âsana iconicamente perfetta. Il mio stile non è questo. Per molti anni sono andato alla ricerca dell’allineamento dei distretti corporei che fosse perfetto al millimetro, dell’atteggiamento giusto, finchè non ho letto (per la milionesima volta) i sutra di Patanjali e sono riuscito ad avere l’intuizione necessaria nel mio percorso di ricerca verso l’Âsana perfetta.
Patanjali ci fornisce il metro per valutare quando noi e un allievo stiamo praticando l’Âsana perfetta ed essa arriva non quando riesco ad allineare perfettamente il piede con una certa linea immaginaria o qualcosa di simile:
l’Âsana perfetta è raggiuta quando cessa lo sforzo per mantenerla e praticarla.
Allora arriva la liberazione dal mondo dei dualismi, del qualcosa che esiste in relazione ad altro. Si accede alla nuova dimensione esistenziale dell’esistere.
Anche in questo caso Patanjali dimostra la sua profonda modernità perchè la perfezione dell’Âsana per come egli la descrive non è altro che l’entrare in contatto con la dimensione del da-sein heideggeriano, quella possibilità di esistere, l’unica possibilità di esistere dell’essere, profondamente indessicale e mai avulsa da ciò che ci circonda.
Sembra una contraddizione in termini, ma solo perchè la pensiamo in modo dualista. Essere non inteso come l’ “essere”, il qualcosa che sta fuori da me, essere inteso come l’atto, l’azione di essere.
Io sono quando programmazione corticale, vita corticale e
vita muscolo scheletrica corrispondono,
comunicano nel dialogo che produce lo scorrere dell’esistenza.
Bianco o nero, positio o negativo, sono prodotti del giudizio, arrivano in seguito nella genesi del pensiero.